martedì 16 febbraio 2016

Don Chisciotte - commedia pop



Al Verdi un Don Chisciotte con tanta anima

 recensione di Felice Carlo Ferrara


In una trattoria una cameriera e due ragazzi in blu jeans ascoltano distrattamente la radiocronaca dello storico sbarco sulla luna. Siamo dunque nell'estate del 1969, eppure proprio in questa scena irrompono Don Chisciotte e Sancio Panza nel loro aspetto più tradizionale, quasi sbalzassero direttamente dalle illustrazioni di una vecchia edizione polverosa. Con questo eclatante effetto anacronistico lo spettacolo di Emilio Russo sin dall'inizio rende al pubblico il nodo forse più cruciale del capolavoro di Cervantes. La caratterista principale del suo protagonista è infatti quella di arrivare in netto ritardo rispetto ai tempi e di alimentarsi di ideali tramontati da secoli e vividi ormai solo nel cuore nostalgico di alcuni poeti. I grandi valori della civiltà cortese, la lealtà, la generosità, e la devozione per la donna amata suonano ormai ridicoli in una società cinica e disincantata come quella della Spagna del 600 e come la nostra, dove a guidarci sono solo la fame, il sesso, il denaro, e, in definitiva, i bisogni primari. Non c'è più spazio per lo spirito, perché non si crede più che alla materia, a quanto si può concretamente vedere e toccare. E ai nostri occhi Don Chisciotte non è che un uomo anziano e malconcio, ben lontano dalla forza e dalla bellezza degli antichi cavalieri. E del resto quale uomo avrebbe davvero le qualità iperboliche di un Orlando? Come non ridere allora del pretenzioso slancio di un semplice uomo verso grandi imprese e della sua ferma fiducia in una futura gloria?



E, tuttavia, sotto gli sghignazzamenti per il misero antieroe, continua a scorrere la radiocronaca dell'allunaggio. Lo sbarco sul nostro pallido satellite non riecheggia forse una delle imprese cavalleresche più famose? Se il nostro sguardo è rivolto sempre verso la terra e la sua polvere, ciò non vuol dire che qualcuno talvolta non sollevi lo sguardo verso il cielo per dimostrarci che è possibile superare i propri limiti. E’ allora che le nostre prospettive dovrebbero capovolgersi. Forse il sogno di una maggiore grandezza per l’umanità non è così folle; forse la vera follia dell’uomo è la rinuncia ad una dignità superiore.
Don Chisciotte, pur uscendo sempre sconfitto nell’inevitabile scontro tra il sogno e la realtà, acquista in realtà passo dopo passo una statura sempre maggiore ai nostri occhi, e questo perché ciò che riesce a vedere con la profondità del suo cuore ha certo un fascino e una bellezza che la nostra visione cinica e materialistica non avrà mai.  
Così si comprende infine che la lezione di Cervantes non consiste tanto in una parodia del mondo cavalleresco e dei suoi miti, quanto in una critica amara e dura verso una visione della realtà troppo concreta e disincantata.
La chiamata di Don Chisciotte alle gesta eroiche non è il grido di un folle ma una incitazione a credere realmente nella grandezza dell'uomo.



Non è facile portare sulla scena grandi capolavori della letteratura. Emilio Russo, tuttavia, rielabora il testo con intelligenza e consapevolezza, e conduce lo spettacolo nella giusta direzione, arrivando infine a farci assaggiare il cuore dell’opera, dandoci materia di riflessione e, nello stesso tempo, divertendo e poi emozionando il pubblico. Ad intervallare ogni scena un trio di talentuosi cantanti e musicisti: Helena Hellwig, Enrico Ballardini e Riccardo Dell’Orfano.
Vera forza dello spettacolo, tuttavia, sono i due protagonisti: Alarico Salaroli e Marco Balbi, perfettamente calati nei rispettivi ruoli di Don Chisciotte e Sancio Panza. I due bravissimi attori non solo hanno quell’istrionismo carismatico capace di entusiasmare e trascinare ogni spettatore, ma anche quella profondità d’animo indispensabile per dare vero spessore a due grandi personaggi come quelli ritratti da Cervantes. Nei loro sguardi e nelle loro parole possono convivere folle euforia e triste malinconia, duro sarcasmo e affettuosa ammirazione, comicità e tragedia, satira distruttiva e poesia alta e carica di dignità. Tutte le grandi contraddizioni necessarie per dare ad una interpretazione tanta anima.
Consigliatissimo.




DON CHISCIOTTE - OPERA POP
da Miguel De Cervantes; 
con Alarico Salaroli, Marco Balbi e Helena Hellwig, Enrico Ballardini, Riccardo Dell'Orfano; 
musiche Alessandro Nidi; 
costumi: Pamela Aicardi
regia e drammaturgia Emilio Russo
Produzione Tieffe Teatro Milano



Visto al Teatro Verdi di Milano l'11 febbraio 2016

mercoledì 10 febbraio 2016

Gigio Brunello porta la sua Trilogia al Verdi di Milano



Gigio Brunello per If Festival
TRILOGIA TEATRO SOPRA LA CITTA’




Gigio Brunello ritorna al Teatro Verdi per la nona edizione di If Festival dopo il successo di Macbeth all’improvviso del novembre 2010. Tre serate consecutive presentano una trilogia su Mestre, «una trilogia sulla città che cambia nel tempo» composta dagli spettacoli Vite senza fine del 2007 – Teste calde del 2011 e Lumi dall’alto del 2013, nati da una collaborazione con Gyula Molnar.
In Vite senza fine l’accento è posto sul mondo operaio e sul lavoro pratico, Teste calde prende spunto da due episodi della Mestre risorgimentale e Lumi dall’alto fa rivivere la storia della comunità albanese di Mestre.
Un percorso artistico di ricostruzione della memoria cittadina attraverso una straordinaria potenza poetica ed evocativa, raccontato con il fascino insolito e innovativo del teatro di figura.
Un cammino autonomo e autorevole quello del burattinaio veneto Brunello all’interno del teatro di figura italiano che lo ha portato ad allontanarsi dagli stereotipi del teatro dei burattini per conferirgli una forte umanità; sul palcoscenico  interagisce, convive e colloquia con i protagonisti, piccole statuine da lui stesso scolpite che a loro volta amano, soffrono, si meravigliano … vivono!        

«Nel 2007 mi venne chiesto dal Comune di Venezia uno spettacolo sul mondo operaio nel territorio", racconta Gigio Brunello, "Pensai di scrivere una storia che avesse al centro  il lavoro pratico, il sapere analogico antecedente e opposto al digitale, un mondo nel quale il lavoro significava ‘mani’ e la risoluzione di un problema significava smontare-aggiustare-rimontare. Io sono cresciuto in un quartiere operaio a ridosso di Porto Marghera e mio padre era un operaio che  sapeva - se necessario - aggiustare anche le ali alle mosche. Così scrissi Vite senza fine.         
Poi, in occasione dei centocinquantanni dell’Unità d’Italia ho voluto rivedere quei luoghi com’erano all’epoca del Risorgimento, prima delle fabbriche e della grande trasformazione novecentesca. Così ho scritto uno spettacolo -Teste calde - non su Porto Marghera ma su Forte Marghera con i patrioti volontari giunti da tutta Europa a difendere la Repubblica del 1848 tra i canali e le barene del mestrino.          
Infine nel 2013 mi è stato chiaro che quello era un percorso che stavo facendo, mancava la descrizione della Mestre di oggi, quella dei migranti e delle tante lingue. Così avrei realizzato una trilogia sulla città che cambia nel tempo. E’ nato Lumi dall’alto.»



Gli spettacoli andranno in scena al Verdi di Milano per tre giorni consecutivi:  
18 febbraio  - VITE SENZA FINE. Storie operaie del novecento  
19 febbraio -  TESTE CALDE. Storie della sortita        
20 febbraio -  LUMI DALL’ALTO. Corse clandestine in città


VITE SENZA FINE. Storie operaie del novecento
Di Gigio Brunello e Gyula Molnar
In scena Gigio Brunello - Sculture di Gigio Brunello
Scenofonia di Lorenzo Brutti
Musiche originali di Gigio Brunello eseguite da David Boato (tromba), Rosa Brunello (contrabbasso) e Marco Ponchiroli (pianoforte)

Sopra un lungo tavolo, simile a quelli delle feste popolari, è immaginato un quartiere operaio di Mestre. Ci sono le case, la chiesa, il filare di pioppi e gli abitanti che appaiono come statuine di un presepio laico. La tovaglia di carta è il piazzale asfaltato e allo stesso tempo lo schermo del cinema all’aperto, ma anche un gran foglio di quaderno disseminato di calcoli, scarabocchi e schizzi preparatori.           
E questo perché l’anima di tutte le storie dello spettacolo è la meccanica, la curiosità che riempie il tempo inseguendo carrucole, leve, ruote azionate dal vento o dall’acqua cui affidare un pensiero, un verso, una frase che non si fermi.


Essenzialmente, è un principio della fisica ciò che sembra regolare l’esistenza degli abitanti del Villaggio San Marco e degli operai di Porto Marghera e del Petrolchimico: i protagonisti di questo spettacolo. Così come l’ingranaggio infinito della vite in questione genera un continuo movimento che si ripercuote sull’intera chincaglieria meccanica, ogni esistenza umana si riflette su quella degli altri: Gigio Brunello, in Vite senza fine mette in scena, o meglio, mette in “vita”, il concetto di comunità. Il turnista, il meccanico, il postino, l’infermiera, il maresciallo, l’elettricista, il prete, l’ingegnere: vite di paese, forse anche da strapaese, ma che effettivamente si intersecano l’una con l’altra in quel clima perso nel tempo di quando ci si conosceva un po’ tutti. E poi ci racconta anche un’altra cosa: il lavoro pratico. Vite senza fine è un bell’ amarcord, elegia di un mondo analogico, antecedente e opposto al digitale: un mondo nel quale il lavoro significava “mani”, senza falsa retorica dietrologista, e la risoluzione di un problema significava “smontare-aggiustare-rimontare”. Non algoritmo.           
Eppure non è solo una bella nuvola di nostalgia. Scritto da Gigio Brunello per la regia di Gyula Molnar, lo spettacolo è la storia di un posto vero, di nomi e cognomi, e “di conoscenze tecniche, della manualità, della capacità inventiva e artigianale degli operai di Porto Marghera del secolo scorso…”          
(Marianna Sassano - Nonsolocinema)
TESTE CALDE. Storie della sortita
di Gigio Brunello e Gyula Molnar
In scena Gigio Brunello - Sculture di Gigio Brunello
Musiche originali di Gigio Brunello eseguite da David Boato (tromba), Francesco Socal (clarino), Rosa Brunello (contrabbasso), Tommaso Cappellato (percussioni), Marco Ponchiroli (pianoforte)
Scenofonia di Lorenzo Brutti - Consulenza storica Piero Brunello
     
Il 27 ottobre 1848 da Forte Marghera  escono gli insorti per cacciare gli austriaci da Mestre. Il presidio austriaco abbandona la torre Belfredo e lascia andare liberi alcuni ragazzi di  Noale  renitenti alla leva  che quella sera stessa dovevano essere impiccati.  Intanto a Forte Marghera il poeta Poerio  è a letto malato ma, nonostante il divieto di partecipare alla sortita, anche perché era molto miope,  verso sera decide di raggiungere da solo il centro di Mestre dove erano in corso i combattimenti. E' scesa la nebbia.  Poerio, convinto di andare in direzione della torre civica  prende la strada dei cappuccini che porta a Bottenigo, attuale Marghera.  Entra in un portone  dove stava rannicchiato col suo fucile un soldato croato che aveva perso il collegamento con i suoi. Il soldato spara. Di Poerio, che incontra la morte in un androne, resterà il nome a indicare una via.         
Questi due episodi sono  lo spunto che da il via al nuovo spettacolo di Gigio Brunello e Gyula Molnar  (Prima Nazionale Mittelfest di Cividale 2011) e che vuole proseguire l'originale e personalissimo percorso artistico di ricostruzione della memoria cittadina cominciato con Vite senza fine I saperi operai del novecento. Il linguaggio utilizzato è lo stesso che il pubblico mestrino ha conosciuto: un lungo tavolato sul quale, tra alcuni elementi  simbolici di Mestre ottocentesca (la torre, le Barche, il Ponte della Campana, il Forte Marghera), prendono vita le statuine della storia di allora. C'è una cassa di fucili pagati da una colletta patriottica per la difesa di Venezia, mai giunti a destinazione. Siamo nell'autunno del 1848 quando gli austriaci hanno già riconquistato Veneto e Lombardia e assediano la città lagunare. Il passaggio di mano di questa merce che scotta  ci farà conoscere contadini e soldati, spie , disertori e giovani patrioti, amori che parlano lingue ostili, come fossero appena usciti da novelle di Boito. Ci sarà chi sui fucili costruirà la sua fortuna, chi incontrerà la propria fine. L'autore, interessato esclusivamente alle loro storie, per scrupolo di raccontarle al meglio, non è riuscito a ignorare i re, le battaglie, i trattati, i proclami e le solenni promesse che, come ci insegnano i manuali di storia, allora c'erano e sempre ci saranno
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(Marianna Sassano - Nonsolocinema)
LUMI DALL’ALTO. Corse clandestine in città    
di Gigio Brunello e Gyula Molnar
In scena Gigio Brunello -Sculture di Gigio Brunello
dipinti di Lanfranco Lanza - Musiche di Rosa Brunello eseguite da Rosa Brunello Quintet- Scenofonia di Lorenzo Brutti
“ In groppa a C’est la vie, Ginco Scura e Kira Oxha sorvolano il bosco di Bissuola, un bosco così fitto che dentro ci si perde. - Lo sapevi che sotto questi carpini c’è il cimitero degli Unni? - dice Ginco- Nessuno osa scavare per non svegliare gli spiriti dei cavalieri morti - E tu, come lo sai? - dice Kira che ci ha preso gusto ad ascoltarlo - Ora sorvoleremo le sirene!- dice Ginco sempre più fiero di sé - legati a me e ascolta il canto. (fischio di sirena) Sentito? E’ poco bello? – Sotto di loro la gente preoccupata si riversa in strada - Noi non c’entriamo! - fa segno Ginco, non abbiamo toccato niente!- Ma i mestrini non li vedono e sono ancora lì a testa in su.” (Da Lumi dall’alto. Corse clandestine in città.)                                  
Quando Kira mi raccontò questa storia, era incinta del primo bimbo. Mi aveva fatto vedere il video del suo matrimonio: lei con lo sposo e gli invitati che percorrono velocemente i viali di un parco e guardano sorridenti in telecamera. Mi spiegò che quel video era un falso, l’avevano girato, di nascosto dai proprietari, in una villa veneta approfittando del giorno di chiusura del ristorante e grazie al  giardiniere albanese loro amico. Soldi per un matrimonio vero e proprio non ne avevano ma quel video serviva per far felici i parenti rimasti in Albania. E pensare che papà e mamma avevano già combinato un matrimonio con un cugino ricchissimo che viveva a Canadà.
Così cominciò a raccontarmi la sua storia fin da quando era partita in gommone col suo fratellino. Qualsiasi riferimento a persone o a fatti realmente accaduti è puramente immaginario.          

«Così, senza retorica alcuna rivive l'epopea della comunità albanese di Mestre, attraverso la storia vera di una sedicenne arrivata dall’acqua in Italia con il fratellino con le proprie cose ben avvolte e sigillate nel nylon per preservarle dall'acqua. Brunello e Molnar creano per mezzo di un teatro poverissimo dove sono gli oggetti a prendere vita con l'immaginazione dello spettatore uno spettacolo di rara potenza poetica ed evocativa.»
(Mario Bianchi - Eolo)